Roma, Chiesa di S. Nicola de Portiis, documentazione delle pitture parietali medievali.


 

 

 


Roma, Chiesa di S. Nicola de Portiis, particolare.


 

Ripresa con banco ottico 4x5", obiettivo Schneider Xenon 150 mm su diapositiva Kodak Ektachrome, 100 ISO.

 

 

Roma, Chiesa di S. Nicola de Portiis, documentazione delle pitture parietali medievali.

 

In occasione di uno studio propedeutico al restauro, il consorzio di restauratori RES commissionò una campagna di documentazione grafica della chiesa inferiore di S. Nicola de Portiis (Via dei Lucchesi) a Roma.

La cinquecentesca chiesa di S. Croce e Bonaventura dei Lucchesi ingloba, infatti, una piccola chiesa medioevale dedicata a S. Nicola di Bari, costituita da due edifici di culto sovrapposti. Segnalata per la prima volta alla fine del sec. XII, la chiesa inferiore di S. Nicola rimase attiva come luogo di culto almeno fino al sec. XIV, come fanno supporre gli affreschi trecenteschi ivi conservati. In un'epoca imprecisata, a questo primo edificio se ne sovrappose un altro costituito da un'unica aula quadrangolare. L'esterno, fatta eccezione per la facciata, si distingue ancora chiaramente, addossato alle strutture più recenti, in un cortile al n. 21 di via della Dataria. È caratterizzato da una cornice con mensolette di pietra racchiusa fra due file di mattoni tagliati a denti di sega. La chiesa risulta di frequente indicata con il nome di S. Nicola de Portiis. Il particolare toponimo sembra essere in relazione con la famiglia dei Porzi, che in epoca medioevale aveva case nella zona. Nel 1575 la chiesa superiore venne ricostruita per volontà di Gregorio XIII (1572-1585) e dedicata a S. Bonaventura; la chiesa superiore del primitivo complesso veniva inglobata nel nuovo edificio come coro.

La chiesa subì molti rifacimenti nella seconda metà del sec. XVII e ancora nel 1736 e nel 1859-1863. Nel 1897 la chiesa passò alle Suore di S. Maria Riparatrice che tuttora lo detengono. Dalla attuale sacrestia si raggiunge, tramite un corridoio, un vasto ambiente rettangolare a ridosso dell'abside, che corrisponde all'antica chiesa superiore di S. Nicola de Portiis. Dallo stesso corridoio, si può accedere mediante una botola e una scala, alla chiesa inferiore. Poggiato su murature di epoca romana, questo ambiente è a due navate di differente ampiezza, spartite da quattro archi a tutto sesto poggianti su pilastri.

La navata maggiore (a destra) è occupata da due pilastri costruiti nel corso dei restauri ottocenteschi per sostenere la volta pericolante. La navatella di sinistra, spartita da tre archi trasversi, reca tracce consistenti di decorazione pittorica: sul primo pilastro a destra sono i resti di un affresco raffigurante il Crocefisso, fra la Vergine e S. Giovanni; sulla parete opposta è un S. Cristoforo. Anche negli intradossi degli archi si individuano resti di decorazione: un tondo con l'Agnello Mistico, un clipeo con Cristo Benedicente, un Angelo Annunziante - cui corrisponde sul lato opposto una Vergine Annunciata - e altre tracce ormai praticamente illeggibili. Tutti gli affreschi sembrano databili tra la fine del XIII e il XIV e denotano legami con i modi figurativi di Pietro Cavallini. (2)

 


 (1) cfr: Chiese medioevali entro le mura, rione Trevi, S. Nicola de Portiis; da www.medioevo.roma.it

 

 

Montella, Castello del Monte. Rasola 8, trincea 3/87. Immagine zenitale ripresa da traliccio con giunto stabilizzato per gravità. Ob. F=18 mm.

Da: Marco Carpiceci, La fotografia per l'ambiente e l'architettura, Roma, Fratelli Palombi, pag. 145.

 

 

 

Montella, Castello del Monte. Rasola 8, trincea 3/87. Pianta ultimo livello.

(da: Gatto, ibidem)

 

 

Montella (AV), località Castello del Monte, documentazione degli scavi archeologici.

 

Tra il 1979 ed il 1992 il prof. Marcello Rotili ha curato una serie di ricerche archeologiche nel Castello del Monte di Montella (AV). La campagna di indagini scientifiche si incardinava in un ampio studio da lui condotto in ordine alle grandi migrazioni in epoca alto-medievale, in particolare di Longobardi, Goti e Gepidi.

Le lunghe e articolate indagini evidenziarono che nel VI-VIII secolo il sito di Montella fu interessato da un insediamento accentrato sorto in seguito allo spostamento della popolazione dal fondovalle all’area naturalmente protetta del Monte. Documentato da strutture abitative, dai resti di una chiesa e dalle sepolture scavate in prossimità di quest’ultima. Entro la metà del IX, il villaggio acquisì poi connotati difensivi e militari in relazione all’istituzione del gastaldato.

Nel XIII secolo, dopo l’edificazione del donjon sulla sede fortificata del gastaldo, il sito assunse le forme con le quali è pervenuto, accentuando in parte la connotazione di residenza signorile rispetto ai requisiti difensivi che tuttavia non vennero mai meno.

Nell’area di circa tre ettari, strutturata come parco per gli svaghi e gli ozi signorili, fu sistemata la strada d’accesso al castello e costruita la nuova recinzione che gli scavi hanno mostrato insistere sui resti della struttura fortificata di IX secolo; furono altresì realizzate le rasole, le lunghe ed ampie terrazze sostruite da muri e attraversate da due acquedotti con vasche utili anche ai fini della diramazione delle condotte.

Il castello fu definitivamente abbandonato a seguito della spedizione di Lautrec del 1528.

Dopo il suo abbandono, l’impiego dell’area proseguì con la  costruzione, a fine XVI, del convento e della chiesa di S. Maria del Monte e il parco divenne un’area destinata a scopi produttivi della

nuova istituzione (2).

 

Durante la lunghissima campagna di studi, durata circa tredici anni, il lavoro di documentazione delle emergenze archeologiche fu per un periodo affidato all’arch. Marco Carpiceci, oggi professore associato presso il Dipartimento di Rilievo Analisi e Disegno dell’Ambiente e dell’Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma La Sapienza, con cui ebbi l’occasione di collaborare a questo progetto alla fine degli anni '80. L’incarico affidato riguardava la schematizzazione dell’area del castello sotto il profilo topografico al fine di una corretta georeferenziazione dei diversi saggi archeologici che si svolgevano su di un ampio territorio terrazzato di circa tre ettari. A tale attività si affiancava la documentazione di dettaglio degli strati oggetto di indagine, svolta graficamente e fotograficamente. Per quanto attiene in particolare quest’ultimo aspetto proposi e realizzai un strumento consistente in un traliccio metallico lungo circa 4 metri, munito ad una estremità di un giunto stabilizzato per gravità in grado di mantenere costantemente in posizione orizzontale il piano focale una apposita fotocamera. L’apparecchio, formato 35 mm, era equipaggiato con un’ottica supergrandangolare da 18 mm e dotato di motore di avanzamento film e scatto elettronico comandato a distanza via filo. La documentazione fotografica dei saggi poteva in questo modo avvenire da una posizione zenitale, punto di vista privilegiato per lo studio e l’interpretazione delle tracce residue delle strutture murarie e dei piani di malta utilizzati spesso come superfici di calpestio.  

(1) docente di Antichità e Archeologia Medievali, Università Federico II di Napoli.

(2) Cfr. a questo proposito: Immacolata Gatto, Attività produttiva nel castello del monte di Montella (AV): la calcara nella trincea 3/87., (doc. pdf. All’indirizzo http://verderosa.files.wordpress.com/2008/10/pianta-archeologica-castello.pdf)

Montella, Castello del Monte. Area murata del Monte, planimetria generale.

(da: Gatto, ibidem)