Fotografia e movimento. la persistenza della visione e i dispositivi non fotografici.






























Taumatropio (1824-1826)















Ruota di Faraday (1830)



















Fenachistoscopio (1831)


















Zootropio (1833)






























Kineograph (1868)








Praxinoscopio (1877)

 

 

 

 

Praxinoscopio, schema (da una incisione dell'epoca).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La scomposizione del movimento realizzata attraverso le esperienze di Muybridge e Maery della seconda meta del XIX secolo si innestava in un filone di interesse sulla fisiologia della vista e, in particolare, sui fenomeni indotti dall’inerzia visiva, che impegnava già da tempo gli studiosi.

Nel 1829 Joseph Plateau pubblicava uno studio in cui veniva evidenziata una forma di persistenza della visione: un'impressione luminosa che colpisce la retina, infatti, lascia un'immagine che permane per un periodo di tempo quantificabile in circa 1/50 di secondo (pari a 0,02 secondi). Se al tempo la causa di questa fenomeno era attribuita ad una persistenza dell’immagine sulla retina, studi successivi, fino a ricerche anche molto recenti, tendono a dimostrare che  la fusione di immagini simili e successive non avvenga nella retina, ma al superiore livello di aree corticali e definiscono questo processo "fenomeno phi".Più tardi, ne sarebbe conseguito che una sequenza di immagini, presentate ad intervalli di tempo inferiori a 0,02 sec., appariva come un'immagine continua, dando l'illusione di movimento (cfr. più vanti nel testo riguardo la stroboscopia).

Altri studiosi, intanto, quali John Herschel, Mark Roget, William Henry Fitton, si interessavano attivamente al fenomeno e nell’ambito di questa cerchia di ricercatori, già tra il 1824 e il 1826,  era stato realizzato il Taumatropio (dal gr.: meraviglia e volgere), un apparecchio molto semplice che dimostrava sperimentalmente l’effetto sopra descritto. Era costituito da un disco di cartone disegnato sulle due facce e legato con due cordicelle agli estremi di un diametro. Applicando una torsione alle cordicelle, il disco veniva fatto ruotare velocemente sul proprio asse. Un osservatore dunque percepiva in rapidissima successione le figure  impresse sulle due facce del disco che, per effetto della persistenza visiva, venivano elaborate come un’unica immagine. Se, ad esempio, su di un lato era disegnato un uccello, mentre sull’altro una gabbia, l’immagine risultante era un uccello in gabbia. Il dispositivo funzionava come una forma primordiale otturatore visivo, rappresentato dalla rapida inversione del disco che consente all’occhio di osservare ciascuna delle due immagini per un solo istante. Il risultato nella sua ripetitività generava un’illusione di fusione delle figure, ma la qualità dell’immagine percepita era molto ridotta.

Alla stregua di immagine persistente si pone anche, intorno al 1830, l’effetto ottico generato dalla ruota di Faraday nella quale una figura posta in veloce rotazione appare invece immobile. L’esperimento, appartenente al vasto ambito di studi sulla fisica condotti dallo scienziato, è contemporaneo alla definizione di “stroboscopia” (dal gr.: ruotare e osservare) formulata dal già citato Plateau nel 1829. Il dispositivo di Faraday si basa un disco munito di fessure radiali equidistanti che definiscono un certo numero di settori di corona, ognuno dei quali reca un’identica immagine.  Se il disco viene rivolto contro uno specchio e fatto ruotare velocemente, l’immagine riflessa, percepita  attraverso una delle fessure, appare ferma. Nel dispositivo di Faraday fa la sua comparsa una nuova forma di otturatore visivo, rappresentato da una fessura in movimento che consente all’occhio di osservare un immagine per il solo istante in cui intercetta la linea dello sguardo. Se il passaggio della successiva fessura avviene in circa 1/50 di secondo, per il fenomeno phi dell’inerzia della visione, l’immagine percepita permane e viene sostituita solo dalla successiva, traguardata attraverso la relativa fessura. Se le immagini sono disposte in una sequenza, il risultato è un’illusione di sviluppo fluido del movimento. Tuttavia la qualità dell’immagine percepita è piuttosto ridotta e dipende drammaticamente dalla velocità della rotazione e dalla intensità della luce, che deve risultare sufficiente. Il concetto di otturatore visivo, all’epoca ancora rudimentale, resta comunque il fondamento invariabile della percezione dinamica del movimento e verrà nel tempo solo perfezionato ed adattato alla tecnologia in uso, prima analogica e poi digitale.

In stretta analogia, lo stesso Plateau realizzò nel 1831 il Fenachistoscopio (dal gr.: ingannatore), il primo apparecchio che consentì di realizzare concretamente la sintesi del movimento, dando un impulso decisivo allo studio delle questioni relative alla visione dinamica. Se, infatti, l’immagine fissa di Faraday viene sostituita con una sequenza, la percezione che ne scaturisce allo specchio è la ricomposizione del moto. Come il dispositivo di Faraday, ma privato dello specchio, il Fenachistoscopio presentava, dunque, un disco rotante con fessure radiali equidistanti, questa volta, però, collegato solidalmente ad un secondo disco, posto ad adeguata distanza, sul quale  erano posizionate, in corrispondenza di ciascuna fessura, immagini  sequenziali di una scena in movimento. Attraverso le interruzioni sul disco in rotazione si ricomponeva il movimento. Considerando il numero di immagini inseribili sul disco (circa una decina), l’intera sequenza si esauriva in meno di un secondo e dunque doveva necessariamente essere realizzata secondo un modello ciclico.

Un diverso assetto geometrico degli elementi costituenti Fenachistoscopio porta alla diffusione dallo Zootropio, sviluppato nel 1833 da William George Horner che dispone lungo la parete di un cilindro munito della sola base sia le fessure, sia le immagini che inizialmente erano collocate su dischi piani. I vantaggi principali risiedono nel poter osservare la scena da qualsiasi punto attorno al cilindro e, soprattutto, nel poter sviluppare la sequenza lungo un striscia di carta, facilmente realizzabile e ancor più facilmente intercambiabile. Questo nastro su cui si colloca una successione di immagini sequenziali è forse il primo e più vicino precursore del film moderno, restando, tuttavia ancora limitato ad uno sviluppo ciclico  a causa ridottissima durata della sequenza.
L’esemplificazione geometrica dello Zootropio è mostrata nel primo disegno, dove ho schematizzato un cilindro di raggio “R” in cui sono praticate le fessure “S” per la visualizzazione delle immagini “S1”. L’occhio è posto nella posizione “O”, alla distanza “Dmin” dalla fessura e “Dmax = Dmin + 2R” dall’immagine. Il tempo “t(0)” in cui lo sguardo attraversa la fessura “S” deve, come detto, risultare pari a 0,02 secondi. Tale condizione è determinata dalla larghezza di “S” e dalla velocità di rotazione del cilindro, quest’ultima definita dalla formula V = 2πR * F  (in cui “F” = n° giri compiuti dal cilindro nell’unità di tempo di 1 secondo). La dimensione della fessura sarà dunque ottenuta da “S” = 2πR * F  *t(0), mentre la dimensione dell’immagine posta all’interno del medesimo cilindro sarà al massimo “S1” = [2πR * P  *t(0)] / Dmin * Dmax. In ordinare condizioni, assimilabili ai prodotti mediamente in circolazione all’epoca, in cui R=10 cm, e F=0,5 giri/sec, le fessure avrebbero dovuto assumere una larghezza massima di 0,6 cm e, osservando il cilindro da 30 cm (Dmin), le immagini una larghezza di 1 cm circa. In realtà le fessure erano spesso più strette (circa 0,5 cm), garantendo l’effetto anche a velocità di rotazione inferiori, quali quelle rilevabili quando l’energia della spinta iniziale di rotazione era ridotta.
Solo il Flip Book o Kineograph, inventato da Linnet nel 1868 sembra superare di poco questa limitazione, disponendo le immagini nella forma di un piccolo libro da far scorrere tra le dita, dove il numero delle immagini può essere superiore allo Zootropio ed è escluso l’andamento ciclico.

Mentre si sviluppano le esperienze di Muybridge e Marey,  di cui si è riferito in precedenza, nel 1877 Emyle Reynaud elabora ulteriormente lo Zootropio evolvendo la modalità di percezione delle singole immagini. Nel Praxinoscopio scompaiono le fessure, sostituite da un nuovo “otturatore ottico” a specchi. E’ una rivoluzione sottile, mascherata dalla circostanza che lo strumento si presenta in modo analogo allo zootropio sotto il profilo della sua configurazione, ma che comporta un sostanziale passo avanti nella qualità della percezione. Mentre, come riferito, nello Zootropio per realizzare il fenomeno phi è necessario che il tempo di rotazione intercorrente tra due fessure successive si approssimi ad 1/50 di secondo, nel Praxinoscopio gli specchi, in numero pari alle immagini,  ruotano in un tamburo centrale solidalmente ad esse. Nella rotazione, gli angoli di riflessione in continua rivoluzione attorno al centro del tamburo, consentono di osservare ciascuna immagine della sequenza come fosse immobile e di sostituirla istantaneamente con la successiva.

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    E’ ciò che avviene oggi nella proiezione cinematografica, dove la pellicola avanza a scatti e ciascun fotogramma viene proiettato sullo schermo solo nell’istante in cui è perfettamente immobile. La qualità di immagine del praxinoscopio è dunque enormemente superiore a quella ottenibile con i precedenti sistemi e anticipa, sotto questo particolare profilo, di quasi venti anni il concetto di cinema introdotto dal fratelli Lumiere nel 1895.

    Sotto il profilo geometrico, il praxinoscopio si basa su di uno schema costituito da due poliedri concentrici attorno al punto di rotazione C, in cui il poliedro interno presenta su ogni faccia verticale uno specchio rivolto verso quello esterno, che a sua volta reca su ogni faccia un’immagine in sequenza. Il poliedro interno, inoltre, ha raggio pari alla metà di quello esterno. Osserviamo l’esempio di un poliedro di 10 lati nelle figure (istante 1 e 2). Partendo dalla posizione iniziale ABC (istante 1) in cui lo sguardo è rivolto perpendicolarmente allo specchio “x” e inquadra il centro dell’immagine “m” ad esso contrapposta e procedendo nella rotazione del sistema in senso orario si raggiunge (istante 2) la posizione A’B’C. Nonostante la rotazione avvenuta, li punto di riflessione m’ non è variato, infatti si nota la similitudine dei triangoli A’B’C e XB’m’. Con questo ingegnoso sistema l'immagine riflessa resta fissa durante  la rotazione del tamburo fintanto che l’asse dello sguardo intercetta il medesimo specchio e viene sostituita integralmente e quasi istantaneamente da una nuova immagine ferma (quella in sequenza) al passaggio allo specchio successivo.

    AI