Italia settentrionale e centrale, documentazione su strutture cistercensi destinate ad attività di produzione.


 


Chiaravalle di Fiastra


 

Ripresa con Mamya RB67, obiettivo 50 mm su diapositiva Kodak Ektachrome, 100 ISO.

 

Tra l’inizio degli anni Ottanta e il 1993 la prof.ssa Marina Righetti Tosti-Croce (1) portò avanti un’approfondita indagine strutture destinate alle attività produttiva in epoca medievale. Tale ricerca, con il corollario di numerose pubblicazioni di studiosi della sua stessa cerchia, ha trovato completo compimento con la edizione nel 1993 del volume “Architettura per il Lavoro” (2), corredato da un ampio apparato iconografico composto dalle fotografie e dei rilievi effettuati assieme all’arch. Roberta Caglianone. Gli organismi edilizi asserviti alle attività produttive svolte nell’ambito dei monasteri costituiscono un importante capitolo dell’architettura medievale che, accanto ai grandi temi religiosi (dalle chiese ai complessi monastici) e a quelli dell’architettura civile e militare (case, palazzi pubblici, castelli, torri e mura) annovera appunto edifici che sono in un certo senso a cavallo tra queste grandi categorie di massima.

Lo studio condotto dalla Righetti intendeva in sostanza mettere in luce l’influenza che ebbe sull’architettura cistercense la configurazione organizzativa del lavoro voluta da Bernardo di Chiaravalle, sotto la cui influsso si venne ad affermare una forma edilizia, che viene spesso identificata con il termine grangia, che risente dei canoni d'oltralpe. Emanazione diretta dell'abbazia, la grangia ha il compito di supportare logisticamente l’onere della provvista di generi alimentari, in primo luogo il grano, per i monaci dell'ordine. Da questa preferenza per le culture cerealicole origina appunto il termine “grangia”, usato anche come sinonimo di granaio.

 


Note:

(1) docente di Storia dell’Arte Medievale, Università La Sapienza di Roma

(2) Cfr. a questo proposito: Marina Righetti Tosti-Croce, Architettura per il Lavoro, dal caso cistercense ad un caso cistercense: Chiaravalle di Fiastra, Viella, Roma, 1993.

   

Monastero di S. Maria a Ponza, assonometria degli ambienti superstiti.

 

Monastero di Zannone, assonometria di due degli ambienti con volta a crociera.

 

Monastero di Zannone, planimetria generale.

 

 

 

 

 

 

Isole di Ponza e di Zannone

La dislocazione fisica delle grange sul territorio imponeva in alcuni casi una sorta di regolamentazione. Lo dimostra il caso delle grange di S. Maria di Ponza e di S. Spirito di Zannone nelle isole Pontine, dipendenti rispettivamente dall’abbazia romana delle Tre Fontane e da Fossanova che, pur essendo su isole diverse, sono oggetto di vari interventi del Capitolo Generale per dirimere le liti che sorgevano per la delimitazione delle rispettive aree di pesca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Monastero di S. Maria a Ponza, vista generale dell'area urbana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Monastero di S. Maria a Ponza, planimetria generale.

 

 

Ponza, resti della struttura del monastero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Monastero di S. Maria a Ponza, Spaccato prospettico degli ambienti superstiti.

 

 

               

 

 

 

 

Ferentino, grangia cistercense oggi parzialmente trasformata.


Riprese in luce ambiente su pellicola 35mm Ilford FP4 sviluppata in Ilford Microphen.

Ferentino

Altre grange erano spesso dislocate all’interno dei centri abitati per la commercializzazione dei prodotti dell’economia cistercense sui mercati urbani in espansione, come nel caso della dipendenza dell’abbazia di Casamari all’interno di Ferentino. Alcune tra le espressioni più compiute del modello di grangia bernardina si rinvengono presso l’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, i cui lavori di costruzione iniziarono intorno al 1142-45. A completamento della complessa e articolata struttura erano collocati diversi edifici destinati alla produzione. In particolare, tre grange sono indicate in un diploma di Ottone IV del 1210: S. Maria in Selva, Sarrocciano e Montorso. Se di quest’ultima non è oggi rintracciabile più alcuna emergenza, delle altre due è stato possibile individuare ancora elementi significativi e sono stati oggetto di rilievo e documentazione nell’ambito degli studi della Righetti.

 

 

S. Maria in Selva, planimetria dell'insediamento attuale.

 

 

S. Maria in Selva

Al 1140 risale la prima testimonianza della grangia di S. Maria in Selva. Impossibile risulta oggi ritrovare le tracce delle testimonianze documentali all’interno del borgo di S. Maria in Selva, ma all’interno del grande blocco dell’edificio più grande, divise e frammentate tra le varie proprietà, sono ben leggibili le parti di una struttura di grandi dimensioni, la cui restituzione però, anche a livello schematico, è risultata abbastanza complessa a causa degli interventi di ripristino che mascherano la natura strutturale delle membrature.

 

 

Sarrocciano, grangia, pianta degli ambienti sotterranei.

Sarrocciano, Brancorsina, Villamagna

L’estensione dei possedimenti dell’Abbazia di Fiastra si spinse verso il 1144 fino ai possedimenti di Sarrocciano. Qui una grangia sorgeva a poca distanza dal fiume Chienti e poteva contare su alcuni mulini ed altre strutture idrauliche. L’architettura di Sarrocciano, così come desumibile dai rilievi documentali, era molto articolata. Oltre agli edifici di lavoro, ai mulini, alla “folla”, la grangia doveva suddividersi in vari altri spazi funzionali. Difficile, se non impossibile trovarne le tracce oggi, in quello che è stato trasformato in un nucleo agricolo. Della grangia sono rimasti brevi tratti superstiti inglobati nella parte orientale del primo edificio (fig. 49). Alle grange costituite entro il 1210 e attestate dal diploma di Ottone IV si aggiungono altre analoghe strutture. E’ ascrivibile al valico tra il 12° e il 13° secolo l’edificio sulla sommità della collina individuata dal toponimo Brancorsina e dall’inequivocabile aspetto di struttura per il lavoro agricolo (fig. 50). Qui la documentazione è stata resa possibile solo fotograficamente. Una delle problematiche legate allo svolgimento di rilievi metrici e fotografici in strutture private come queste è costituito spesso dalla diffidenza dei proprietari nei confronti dei ricercatori. Oltre ad una naturale e comprensibilissima resistenza a consentire che individui sconosciuti entrino nelle proprie case o nei propri magazzini, permane una notevole indisponibilità che origina dal timore che lo studio e la scoperta di talune caratteristiche architettoniche possa comportare l’apposizione di vincoli di varia natura sui propri beni. In occasione di questo lungo studio, in cui taluni immobili risultavano peraltro estremamente frammentati sotto il profilo della proprietà, tale difficoltà operativa è emersa in modo rilevante.

 

Collalto, grangia, vista del modello tridimensionale wireframe.

 

Collalto, grangia, assonometria degli ambienti superstiti.

 

Collalto, grangia, prospetti esterni dell'edificio attuale.

Collalto, grangia.

A poca distanza dalla Brancorsina un’altra costruzione rivela caratteri analoghi, ma maggiormente influenzati dai modelli francesi: si tratta dell’edificio di Collalto, nominata per la prima volta in documenti posteriori al 1283. In un manoscritto del 1287 si nomina, peraltro, anche un suo grangiere: il converso Matteo da Colmurano. La costruzione sorge a poca distanza dal “vallatum”, canale deviato per portare l’acqua del Chienti al vicino mulino. L’architettura si determina, come per la Brancorsina, compattando insieme blocchi progettuali prefabbricati. E’ di tutta evidenza qui la metodologia progettuale basata su moduli spaziali semplici. Affiancando e sovrapponendo cubi, parallelepipedi e prismi. Con la stessa semplicità con cui i bambini realizzano costruzioni con i piccoli elementi di legno i conversi cistercensi costruivano grange, castelli, palazzi, mura di città. L’interno dell’edificio è stato, purtroppo, manomesso, ma risalta un ambiente interrato per più di due metri rispetto al piano di campagna, la cui funzione è incerta, ma potrebbe trattarsi di una ghiacciaia. E’ da supporre che edifici come questi siano stati realizzati con l’intenti di lasciarli asserviti all’impresa economica gestita e condotta direttamente dall’abbazia e siano stati solo successivamente resi più autonomi sotto il profilo amministrativo, trasformandoli in vere e proprie grange forse solo nell’inoltrato Duecento. Lo stesso dovette accadere anche per l’edificio rurale detto la “Pecorareccia” in località Villamagna, dove è stato rilevato un locale diviso in quattro navate da tre file di sette pilastri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Collalto, grangia, spaccato assonometrico.

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, eidotipi di lavoro.

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, eidotipi di lavoro.

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, pianta

 

Chiaravalle di Fiastra

Le “grotte” dell’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, di cui i sistemi rinvenuti in S. Maria in Selva e Sarrocciano sono repliche in scala ridotta, costituiscono il massimo sviluppo di un particolare sistema ipogeico collegato funzionalmente alla produzione e conservazione di prodotti alimentari. La sua assoluta singolarità e le caratteristiche architettoniche e strutturali ne fanno un unicum all’interno di tutta la storia dell’architettura cistercense, sfuggito tra l’altro fino alle ricerche condotte dalla Righetti ad ogni altro studio. La mancanza di elementi documentari in qualche modo riferibili a questo sistema di gallerie sotterranee ne rende ancora più difficile l’analisi. In questo caso la documentazione topografica è stata particolarmente lunga e complessa. Furono realizzate molteplici poligonali aperte tracciate mediante una serie di stazioni tacheometriche a ciascuna delle quali furono associati rilievi polari tridimensionali. L’elaborazione avvenne conseguentemente su di un modello vettoriale dei cunicoli. La lettura dei rilievi e delle sezioni, posti in relazioni con le emergenze esterne chiarisce l’irregolarità dei tracciati e consente di ricostruire l’avanzamento dei lavori: il sistema delle grotte fu infatti realizzato creando dei cunicoli che vanno ad inoltrarsi proprio ad di sotto dell’abside principale e delle cappelle del transetto sinistro.

Lo scavo a talpa evidentemente eseguito quando le strutture superiori erano già state costruite, avanzò dapprima liberamente, poi dovette fare i conti con le intersezioni delle strutture di fondazione, adattando di conseguenza il tracciato.

 

 

 

 

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, pianta

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, schizzi di lavoro.

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte, schizzi di lavoro.

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte.

 


Ripresa in diapositiva Ektachrome per luce al tungsteno con illuminazione ambiante e lampade tipo Nitraphot BR 3200°K.

 

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte.


Ripresa in diapositiva Ektachrome per luce al tungsteno con illuminazione ambiante e lampade tipo Nitraphot BR 3200°K.

 

Chiaravalle di Fiastra, abbazia, grotte.

 


Ripresa in diapositiva Ektachrome per luce al tungsteno con illuminazione ambiante e lampade tipo Nitraphot BR 3200°K.

Fossanova, resti di una struttura di produzione annessa all'abbazia.

Ripresa con Mamya RB67, obiettivo 50 mm su diapositiva Kodak Ektachrome, 100 ISO

 

 

 

 

 

 

 

 

Fossanova, struttura di produzione, assonometria.

Fossanova, mulino

Il mulino di Fossanova, databile ai primi decenni del Duecento, è un’importante testimonianza di un tipo di struttura fondamentale nell’economia agraria medievale. L’edificio sorge sulla sponda di un canale deviato dal corso dell’Amaseno per convogliare le acque all’abbazia. La struttura è scandita in dieci campate, alte al culmine, poco più di dieci metri e che partono senza soluzione di continuità dal piano pavimentale. L’ultima campata verso il, canale presenta la traccia di un ampio arco tamponato, probabilmente corrispondente al varco di una canalizzazione deviata proprio al di sotto del mulino.

 

 

 

 

 

Schizzi del rilevo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fossanova, struttura di produzione, pianta.

 

S. Maria al Monte

La presenza nelle grange di strutture per la raccolta dell’acqua doveva essere ben più diffusa di quanto oggi si sappia: l’ubicazione di molte grange in zone non direttamente collegate ai corsi d’acqua doveva obbligare a costruzioni di questo tipo. Un altro caso potrebbe essere rilevabile nella grangia di S. Maria al Monte, dipendente dall’abbazia abruzzese di Casanova, sorta nella zona di Campo Imperatore, ai piedi del Gran Sasso, per il pascolo durante i mesi estivi degli armenti del monastero. La struttura è in rovina e dopo il sisma dell’ aprile 2009 è probabilmente ancora più danneggiata. A confortare tale ipotesi era la presenza di profonde cavità osservate all’epoca delle indagini, e già allora inaccessibili, che lasciavano trapelare al di sotto del piano di calpestio del cortile la presenza di strutture architettoniche voltate.

 

Cangelasio, struttura di produzione, prospetto interno ripreso ad alto contrasto per l'evidenziazione della tessitura muraria.


Ripresa in pellicola negativa 4x5" Ektapan 50 ASA sviluppata in Ilford Perceptol

 

Cangelasio, struttura di produzione, particolare della struttura di collegamento con l'esterno per l'aereazione dell'ambiente sotterraneo.

 

Chiaravalle della Colomba, estratto dal modello tridimensionale wireframe.

Chiaravalle della Colomba

L’economia cistercense ebbe grande sviluppo anche nelle attività estrattive e della lavorazione dei vari minerali. Di grande ritorno economico fu il settore della produzione di sale, sia quello minerale, sia quello marino. In Italia in particolare l’abbazia di Chiaravalle della Colomba si impegnò direttamente nell’acquisizione e nello sfruttamento di pozzi di salgemma. A Cangelasio presso Salsomaggiore, in località Portici, zona controllata appunto dai cistercensi della Colomba, sono stati scoperti resti di una struttura destinata ad immagazzinare il prezioso minerale, databile intorno al 1250-1275 (1). L'ambiente interno alla grangia mostra finestre particolarmente strutturate per la funzione di mantenimento del cristallo.

 


 (1) cfr. Pistilli, Ipotesi....Tolentino, p. 205-212.

 

Chiaravalle della Colomba, veduta del transetto.


Ripresa in pellicola negativa 4x5" Ektapan 100 ASA sviluppata in Ilford ID-11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiaravalle della Colomba, estratto dal modello tridimensionale wireframe.

 

 

 

 

 

Santo Spirito d'Ocre

La grangia di Santo Spirito d'Ocre, presso l'Aquila appare, infine, come un blocco chiuso, ma all'interno si articola come lo schema che si era intuito a S. Maria al Monte: il lato sinistro è occupato dalla cappella, mentre i due lati lunghi del complesso sono occupati dagli edifici monastici.

 

Santo Spirito d'Ocre, sezione prospettica del lato orientale.