Ciclopraxinoscopio (2014)

Istallazione in legno, metallo, specchio, carta.

L’opera collega la percezione retinica del movimento studiata da Reynaud nel “Praxinoscopio” (1877)

con la celeberrima “Ruota di bicicletta” di Duchamp (1913).

 

Opera in esposizione a Roma, Galleria 94Tele, via della Madonna dei Monti n. 94.  [31 agosto - 6 settembre 2014]




Ciclopraxinoscopio, profilo



Ciclopraxinoscopio, lato Duchamp



Ciclopraxinoscopio, lato Reynaud



Ciclopraxinoscopio, dettaglio tamburo specchi



Ciclopraxinoscopio, dettaglio tamburo specchi


http://youtu.be/zQO4yMjghaE

 

L’inversione logica insita nel lavoro di Duchamp consiste nel balzo che egli fa compiere ad un oggetto esistente (ready made) ponendolo in un contesto in cui esso perde totalmente la sua funzione e diviene irrimediabilmente inutile.

Se poi la contraddizione non si limita alla collocazione dell’oggetto, ma si estende anche alla sua stessa configurazione, l’operazione assume un’ancora maggiore incisività. E’ proprio il caso della Ruota di bicicletta, il cui rovesciamento e la conseguente perdita di contatto con il suolo ne rende vana e inefficace la rotazione, annullando ogni potenzialità dinamica, ulteriormente impedita dall'istallazione della forcella in un oggetto simbolo di sosta e stabilità, quale uno sgabello.

L’idea di partire da un’opera emblematica della mentalità dadaista e proseguine l’assemblaggio con altri elementi simbolici, è nata dai miei studi sul rapporto tra arte, fotografia e sintesi del movimento.

La libera rotazione della ruota di Duchamp richiama la medesima rotazione impressa ai diversi dispositivi per la riproduzione del movimento che si andavano perfezionando durante tutto il secolo precedente la sua prima esposizione (1913), di concerto con gli studi sulla fisiologia della retina e sui connessi meccanismi corticali.

Esito decisivo di queste ricerche e antesignano del futuro cinema dei Lumiere era un piccolo dispositivo realizzato da Reynaud nel 1877: il Praxinoscopio, traduzione di avanzate tecnologie in forma popolare di intrattenimento.

Dunque, proseguendo idealmente l’assemblaggio dadaista di elementi eterogenei iniziato dall’Artista, ho installato una apposita versione di Praxinoscopio sul prototipo di Duchamp con il risultato di introdurre ulteriori contraddizioni. La rotazione del cerchio, azione che era stata resa superflua, assume ora, con l’orbitazione coassiale del tamburo di specchi e del disco dei fotogrammi, un nuovo significato, ricostruendo l’idea stessa della bicicletta nella sua azione dinamica. In antitesi, l’immobilità della sequenza di immagini, visti in fase statica, sottolinea l’opposta immobilità dello sgabello.

L’inserimento nel Ciclopraxinoscopio di ulteriori significati e citazioni non tradisce, allora, la scandalosa inutilità del lavoro di Duchamp, confermando l’assunto che le opere d’arte si elevano su tutto ciò che realizza l’uomo proprio per il fatto di essere meravigliosamente inutili.

A.I.

 

 

 

 

 





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